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Quale olio vegetale esausto può entrare nella filiera del biodiesel?

Quale olio vegetale esausto sottoposto al recupero può entrare a far parte della filiera del biodiesel? E’ questa la domanda a cui risponderemo oggi.

La Direttiva RED II 2018/2011 dovrà essere recepita dagli stati membri entro il 30 Giugno 2021. Da tale data ogni Stato membro dovrà fare in modo che, entro il 2023, la propria quota di energia da fonti rinnovabili, utilizzata in tutte le forme di trasporto, sia almeno pari al 14 % del consumo finale di energia nel settore dei trasporti.

biocarburanti non derivano da combustibili fossili, perciò emettono meno gas a effetto serra (GHG Green House Gas Emission) rispetto ai carburanti normali, perché la quantità di carbonio emessa durante la combustione è pari solo al quantitativo assorbito dalle piante originarie durante la crescita.

La sostenibilità dei biocarburanti come fonte di energia rinnovabile, però, può essere compromessa da altri fattori, cioè dal cambiamento di uso nei terreni.

Per tale motivo la Direttiva RED stabilisce dei criteri che gli operatori economici devono rispettare, per cui solo i biocarburanti che hanno determinati criteri di sostenibilità possono essere immessi nel mercato.

La sostenibilità dei biocarburanti deve essere certificata tramite Schemi Volontari riconosciuti o da Schemi Nazionali emanati dagli stessi Stati.

I biocarburanti prodotti da rifiuti di olio da cucina esausto (d’ora in poi UCO), sono più ecologici, in quanto non utilizzano, come invece altri tipi di oli vergini impiegati per il biodiesel, l’uso dei terreni agricoli destinati alla produzione di oli alimentari.

Per tale motivo la Comunità Europea (ai fini del raggiungimento della quota del 14%) per premiare questo ciclo virtuoso, considera il contributo dei biocarburanti prodotti a partire da alcuni rifiuti (ad esempio l’UCO), come equivalente al doppio del loro contenuto energetico (c.d. Double Counting).

I raccoglitori italiani di UCO, per far sì che il loro prodotto sia acquistato dalla filiera dei biocarburanti, devono possedere un Certificato di Conformità di schemi di certificazione, che garantiscono il rispetto dei principi di sostenibilità della Direttiva RED. I più diffusi, ma non gli unici, sono:

  • il “Decreto del 14/11/2019”, denominato anche SNC/2019 (Sistema Nazionale di Certificazione)
  • “ISCC EU”, schemi che consentono l’immissione di biocarburante rispettivamente nel mercato italiano e in quello europeo.

Nel SNC/2019 e ISCC EU l’Operatore Economico deve sottoporsi ad attività di verifica da parte di un Organismo di Certificazione accreditato che rilascerà una certificazione di conformità.

I Punti di Origine di UCO (ad es. ristoranti, gastronomie, hotel, friggitorie) devono avere un contratto con chi acquista il rifiuto e, (ma solo per lo schema ISCC EU), devono firmare una Self Declaration che attesta, tra le varie cose, che quello che stanno cedendo è realmente UCO.

In entrambi gli schemi SNC/2019 e ISCC EU l’Operatore Economico (tranne il Punto di Origine cioè il ristorante) che cede UCO deve rilasciare a quello successivo una Dichiarazione di Sostenibilità e così via per tutta la catena di consegna del biocarburante.

La certificazione richiede anche la gestione da parte di ogni Operatore Economico di un bilancio di massa, che possa dimostrare in ogni momento che i flussi in entrata sono in attivo su quelli in uscita.

Tutti gli operatori economici della filiera, pertanto, a partire da acquirenti raccoglitori, aziende autorizzate alla gestione di UCO in R13 con cisterna dedicata, Rigeneratori autorizzati in R9 i quali trasformano il rifiuto in materia prima, Trader per giungere alle Bioraffinerie, devono avere un Certificato di Conformità fino alla produzione finale del Biodiesel.